Leonardo

Fascicolo 10


in "Alleati e nemici"
La filosofia della contingenza
di Giuliano il Sofista (Giuseppe Prezzolini)
p. 14-15


p. 14


p. 15


   Debbo annunziare che prossimamente, con mio vivo 'dispiacere, romperò la mia «liaison» con la filosofia della Contingenza. Questa mia buona amica, era stata finora un'abbastanza gradevole compna di viaggio, parecchio scandalosa per le persone morali e logiche, molto impertinente per gli scienziati; essa si prestava a superare i mille tranelli che ci tendono nella vita e la noia e il buon senso e il luogo comune; ed era insieme uno spauracchio, un passatempo, un servo.
   Ma purtroppo bisognerà che ci rinunzi. La contingenza prende la cattiva piega delle cose che si fan popolari, che perdono in nobiltà e in profondità quel che guadagnano in diffusione. Ben presto finirà come una delle sue sorelle fra le idee generali, l'evoluzione che serve al farmacista di villaggio per combattere il prete, ed ai socialisti per derubare la borghesia.
   Faremo dunque divorzio. C'è troppa gente ormai che se la fa propria! preti e laici, scettici e credenti, positivisti e razionalisti. Perfino i filosofi italiani ne parlano.
   Quando io scriverò il mio libro sulla «Fortuna dei Filosofi e delle Filosofie» — sorta di Orlando Furioso delle Metafisiche, dove non mancheranno amoretti e lotte, connubi strani e alleanze miracolose, dove ci sono cavalieri solitari, giganti enormi, maghi possenti e lontanissimi paesi meravigliosi; saggio sulle emigrazioni, sulle parentele e sugli ibridismi dei sistemi, dove gli intrecci son più complicati che in un romanzo da portieri — non potrò non dedicare qualche pina alla trista fortuna della contingenza in Italia. Non tanto triste, in verità, perchè io son così male intenzionato da scriverci sopra qualche piccolo appunto, quanto per i suoi primi commessi viaggiatori in Italia, Francesco Masci e Igino Petrone che ce la portarono, come dei campioni di stoffa straniera, a esaminare nei loro libri e nelle loro comunicazioni. Del primo dei quali io debbo commendare qui pubblicamente il rispetto avuto per questa filosofia, che, non sapendo dove raccattare critiche, e non trovandosene pronte in tasca delle solite, e d'altra parte, bisognando in un libro accademico uno spuntino di critiche oneste ed eunuche, le prese in prestito a un modello del genere, ad Alfredo Fouillèe (F. MASCI: Coscienza, Volontà, Libertà, Lanciano, 1884, pagine 271-272 cfr. A. FOUILLÉE Rev. Philosophique, 1883, XVI, 28-57); ovvero, senza alcuna pietà per i suoi colleghi d'accademia, gettò loro addosso un ampio riassunto dei libri di E. BOUTROUX, promettendone, più tardi, la critica (Atti della Soc. Reale di Napoli. Accademia dí Scienze Morali e Politiche, 1898, XXX). — L'altro invece mescolando insieme la metafisica dello Spir e quella del Bergson, servendosi per criticare le scienze del vecchio Stallo e del classico Hannequin, chiamando in soccorso il Naville e il Blondel, il Lachelier e il Ravaisson, ordinando il tutto secondo le linee del libro principale del Boutroux, ci ha dato un buon manuale di indeterminismo francese scritto in cattiva lingua da giurista italiano. Così ridotto, io non so perchè lo si sia voluto criticare (FAGGI, GROPPALI: Riv. di Filosofia e Pedagogia e Scienze Affini. 1900); nè trovo ragionevole il dir corna di un sarto che veste i clienti con l'ultimo figurino di Parigi. Il quale del resto è ben punito con la quasi popolarità del suo libro, che raggiunge ora la seconda edizione (Roma, Poligrafica Cooperativa Editrice, 1903) imbruttito di formato, avvilito di prezzo. — Importatore della Contingenza in Italia non credo si sia voluto fare A. LEVI con il suo lavoro Sulle ultime forme dell'Indeterminismo Francese (Firenze, Tip. Civelli 1903): sarebbe stato un cattivo calcolo. Poiché non è davvero il miglior modo di render popolare il Bergson quello di riassumerlo, nè di fare accettare le teorie del Milhaud quello di rinchiuderle in venti pagine, nè di rendere più simpatico il Boutroux seguendo le linee dell'esposizione del Masci. E anzitutto, ci sarebbe da domandarsi a proposito di questo libro, fra i cui meriti principali è quello di provocar tante critiche da ricoprirne un volume, se riassumere il Bergson non sia proprio andare contro la sua dottrina, dovendosi necessariamente ridurre la sua forma immaginosa e scorrevole allo schematismo da lui combattuto. E poi se la striscietta a colori che separa sulle carte geografiche la Francia dalle altre nazioni, possa servire a limitare un movimento filosofico, che è certo per essenza e per i suoi maggiori rappresentanti francesi, ma nel quale rientrano W. James americano, e per certi aspetti l'Hertz e il Mach tedeschi, e lo Schiller inglese. Inoltre di quanta utilità posar essere dei riassunti fatti autore per autore, neppur completi (del Bergson manca Matiére et Memoire, e gli articoli minori; del Tannéry mancano le primissime critiche al Fechner cosi importanti, perchè lo fanno precursore del Bergson; del Boutroux vien considerata come più importante la seconda opera, che a detta dello stesso Levi, ha subito l'influenza dei Contingentisti posteriori ecc.); riassunti poi di autori non siriaci, ne russi, che han fatto edizioni rare, che soli dunque accessibili negli originali ad ogni media cultura e ad ogni media borsa. Si aggiunga, e ciò è più grave, la mancanze nel libro di una idea dominante, che ci mostri la firma dell'Autore, e la scarsità di critiche, sminuzzate a bocconcini, che han certo della forza logica, ma mancano di coesione. Insomma, io che conosco l'autore del libro, trovo, e non è fargli un complimento, che vale molto più dell'opera sua, e lo ricordo meglio informato e più valente distruttore a quattr'occhi di quel che non appaia da queste sue pagine. E avrei finito con gli Italiani se non dovessi ricordare il Padre SEMERIA (Scienza e Fede) che ha fatto della Contingenza uno sgabello al suo cattolicismo, e gli ha dato così quei puntelli filosofici che il Santo Padre passato cercava in S. Tommaso e Brunetière in A. Comte; il che potrebbe avere per titolo, in quel mio libro accennato superiormente: Cattolicismo accatta-filosofi nel secolo XX.
   A. Comte, questo generale napoleonico che ha fatto della filosofia, ed ha trasportato il ben ordinato sistema gerarchico dagli eserciti repubblicani e imperiali alle cose dello spirito e all'edificio delle scienze, mi dà modo di passare dai critici italiani agli autori francesi, poichè la Francia è il paese dei classici della Contingenza. Uno di questi infatti, G. Milhaud ha stampato, editore Alcan, un volume che tratta del Corrite, ed ha per titolo Le positivisme et le progrès de l'esprit (Paris, 1902) importante sintomo di quella conquista del Comte, cui vi sono accinti e Contingentisti (vedi anche BOUTROUX: A. Comte et la Metaphysique in Bull de la Soc. Franc de Phil.) e Cattolici (BRUNETIÈRE L'équation fondementale-in-Rev. des. D. M. 1903). Il Milhaud, però, non si ferma alla conquista, ma vuol procedere oltre, e si vale della legge dei tre stati per immaginarsene un quarto, non ultimo, nel quale lo spirito liberato da quella subordinazione al mondo esterno che è l'attitudine del Positivismo, si sentirà più cosciente della propria autonomia e della propria attività, e invece che come una gabbia, considererà come uno strumento il sistema di leggi che ha creato per padroneggiare il mondo. Il sorgere di questo sentimento — é già ne nota degli accenni — sarà aiutato da quel movimento critico delle scienze, per il quale la fecondità delle ipotesi, la trasformazione degli assimili in postulati e delle leggi in definizioni, da uno scandalo logico che era, tende a diventare un luogo comune. L'autore però si crede in dovere di combattere le conseguenze scettiche e mistiche che da quel movimento alcuni hanno tratto; e in ciò non mi accordo, perchè scetticismo e misticismo non sono fantasmi che mi spaventino; e perchè le conseguenze non si traggono, ma si pongono prima dei sistemi che a quelle ci conducono. Come ci sono degli asceti laici e dei cristiani libertini, così vi possono essere dei Contingentisti scettici e dei Contingentistí iper-razionalisti; la ragione è grande, la logica elastica ed ampio il mondo delle sfumature.
   Tanto ampio che c'è posto per tutti, per H. POINCARÈ, ad esempio, che nel suo volume Science et Hypothèse(Flammarion, Paris 1903) vuol essere contingentista ma con temperanza. Finchè siamo in geometria possiamo dichiarare gli assiomi di Eccelide delle convenzioni, e ritenere le nuove geometrie tanto vere quanto la vecchia, riconoscendo soltanto a questa il pregio dell'utilità di essere adatta al mondo nostro. Ma quando si entra in meccanica e in fisica l'arbitrio dello scienziato diminuisce, e l'artificio lascia sempre un posto più ampio all'esperienza nella formazione delle leggi. Queste veramente ci danno una conoscenza obiettiva di un qualche cosa che non muta e dei rapporti fra le cose; non delle cose, però che di queste nessuna conoscenza è possibile.
   La Revue de Mètaphysique et de Morale contiene durante il 1903, molti articoli da vicino o da lontano interessanti la contingenza. Ma principalissimo uno di H. BERGSON, Introduction, à la Mètaphysique dove il noto filosofo pone in contrasto la conoscenza analitica e simbolica, propria della scienza, con quella sintetica ed intuitiva che genera la metafisica: l'una che si aggira intorno alle cose, l'altra che le penetra; questa che le conosce per l'azione, l'altra che le vive. E mentre quest'ultima ci dà la vita e da questa possiamo trarre quegli schemi e quelle cristallizzazioni concettuali che ci servono per l'azione, al contrario la prima non può ricondurci dai concetti alla realtà; onde la intuizione può andare senza concetto, non questo senza intuizione. La intuizione poi ci dà conoscenza piena ed assoluta e riesce anche a vincere la critica Kantiana, la quale finora non si è esercitata che contro metafisiche concettuali e quindi per necessità, relative.

(Continuerà nel prossimo numero per i lavori tedeschi ed inglesi).


◄ Fascicolo 10
◄ Giuseppe Prezzolini